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Oltre il virtuale significa anche ritrovare l’umanità nel corpo

Immagine del redattore: Alberto PiccioniAlberto Piccioni
Il nostro giornale, intervista Vittorio Lingiardi, ordinario di Psicologia alla Sapienza di Roma. La sua è una riflessione piena e assoluta sulla corporeità per arrivare ad un corpo vivo e pulsante, abitato dalle emozioni.
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Da cosa a persona: il corpo negato e il corpo ritrovato. Vittorio Lingiardi ci propone una riflessione sulla corporeità, partendo dai corpi di persone ridotte a rifiuti da espellere, per arrivare alla riscoperta di un corpo vivo, pulsante, "abitato dalla mente e dalle emozioni”. Un percorso profondo e attuale, in un'epoca in cui il corpo è al contempo esaltato e negato, tra narcisismo digitale e derive disumanizzanti. Lingiardi ci invita a riabitare il nostro corpo, a raccontarlo e a prendersene cura, per ritrovare un'umanità autentica. Lingiardi è un nome di spicco nel panorama della psichiatria e della psicoanalisi italiana. Professore ordinario di Psicologia dinamica alla Sapienza Università di Roma, è autore di numerosi saggi e pubblicazioni scientifiche, oltre a collaborare con diverse testate giornalistiche. Gli abbiamo chiesto di spiegarci il titolo del suo libro: Corpo, umano.


Sembra quasi un'affermazione tautologica

Del mio titolo la cosa più importante è la virgola. Una trasgressione grammaticale che ci invita a una pausa di riflessione tra due parole sulle quali bisogna soffermarsi separatamente prima di unirle in una formula che, altrimenti, viene pronunciata in modo scontato. Cosa è un "corpo" oggi? C'è un unico modo di definirlo? Ci sono un corpo fisico e un corpo culturale, un corpo tangibile e un corpo virtuale, un corpo privato e un corpo sociale, e così via. E cosa è, oggi, l'umanità? In un'epoca segnata in molti modi dalla disumanizzazione dei corpi credo sia fondamentale ricordare che il nostro corpo è prima di tutto umano, chiede rispetto e dignità.


In un mondo sempre più digitale e virtuale, quale ruolo gioca il corpo fisico? Rischiamo davvero di perderlo?

Mi colpisce la torsione a cui i nostri corpi oggi sono sottoposti: da una parte un progressivo svanire nel virtuale, con la conseguente perdita delle relazioni che io chiamo toccanti; dall'altra una presenza assillante, ma come oggetti decorativi, più estetistici che estetici. Non faccio crociate contro la vita digitale, ma è evidente che passare dall'analogico al digitale ha implicato una mutazione antropologica. È un dato di fatto che buona parte delle nostre relazioni si svolge in un mondo intermedio tra la terra e la rete. Spesso i ragazzi scoprono la sessualità prima sullo schermo che nell'esperienza o nelle fantasie. È fondamentale, anche se faticoso, sforzarsi di capire quando la realtà virtuale è una forma di vita in più e quando è una fuga dal corpo, una sospensione della vitalità.


Da psichiatra e psicoanalista come si inserisce il corpo nella sua pratica clinica? Quali sono le connessioni più significative tra corpo e mente che ha osservato nei suoi pazienti?

Il corpo è il primo io (siamo un corpo) ma anche il primo tu (abbiamo un corpo con cui dialoghiamo). Il modo in cui siamo stati toccati (o non toccati) determina il nostro sviluppo psichico, persino la nostra personalità. Il corpo è anche il teatro del nostro dolore mentale: le braccia tagliate dalla sofferenza borderline, l'osso sporgente dell'anoressia, il panico che simula l'infarto, l'autopalpazione ipocondriaca. E il dismorfismo, cioè quella visione cognitivamente distorta di sé che chiede alla chirurgia di correggere un difetto che non c'è. Il corpo parla, anche quando il paziente tace o non può ricordare.

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