Nel linguaggio sociale e politico del nostro tempo c’è una parola che viene usata spesso e, molte volte, con significati e prospettive diverse, e precisamente la parola globalizzazione. Vogliamo pertanto porre l’attenzione proprio su questo fenomeno della globalizzazione, che nell’ambito dell’attività didattica può essere oggetto di riflessione con gli studenti. Chiaramente il fenomeno ha radici storiche molto complesse nelle quali volutamente non ci addentriamo vista la brevità del nostro spazio e poiché la nostra riflessione vuole snodarsi specificamente sul piano strettamente etico. La coscienza quando si accosta al fenomeno della globalizzazione è chiamata a porsi alcune domande: ma la globalizzazione è un bene o un male? È l’occasione di una maggiore libertà e di un benessere per i cittadini di tutto il mondo, o costituisce un pericolo, perché favorisce l'omogeneizzazione culturale, l'omologazione consumista, la fine delle particolarità culturali, dell'identità dei popoli e della ricchezza delle tradizioni locali? Sta qui il fondamentale nodo etico!
Non c’è dubbio che per una larghissima corrente di pensiero la globalizzazione rappresenta una minaccia per i diritti umani e per l’ambiente, soprattutto perché allarga ancora di più la forbice del divario fra Paesi ricchi e Paesi poveri irrobustendo il potere economico e creando le basi per un neocolonialismo organizzato scientificamente sotto la cabina di regia di multinazionali, a danno dei poveri del mondo e persino delle classi medie della società. Sostanzialmente i sostenitori di questa tesi sono dell’avviso che il libero mercato, il mercato globale anziché costituire un’opportunità di crescita per i Paesi poveri, non è altro che l’occasione di un ulteriore arricchimento solo per i Paesi che sono già ricchi. La globalizzazione sembra, a volte, avere un volto veramente ipocrita: pretende di favorire lo sviluppo dei paesi poveri “e nel medesimo tempo - come direbbe Andrè Franqueville - li saccheggia senza vergogna”.
Nell’IRC, occorre far prendere coscienza del fatto che il cristiano del nostro tempo deve farsi sostenitore, se vuol rimanere fedele al vangelo, di una globalizzazione nella quale la crescita economica sia pienamente integrata da altri valori, così da diventare crescita qualitativa; quindi equa, stabile, rispettosa delle individualità culturali e sociali, come pure ecologicamente sostenibile. Il termine ‘globale’, se inteso in modo coerente, deve essere ‘in-clusivo’, non ‘e-sclusivo’; deve fare ogni passo in grado di eliminare le persistenti sacche di emarginazione sociale, economica e politica. La riflessione etica cristiana non può non sottolineare con forza la necessità di orientare la globalizzazione verso una ‘globalizzazione della solidarietà’, da costruire attraverso una nuova cultura, nuove regole, nuove istituzioni a livello nazionale ed internazionale.
La coscienza, quando si accosta alla globalizzazione, è chiamata a porsi domande: è un bene o un male? È l’occasione di maggiore libertà e benessere per i cittadini di tutto il mondo o costituisce un pericolo, l'omologazione consumista, la fine delle particolarità culturali? Sta qui il fondamentale nodo etico.