Una realtà che nel nostro tempo non manca di essere mai invocata nelle relazioni umane è la coscienza. Non esistono articolazioni della società civile, ambiti sociali, politici, culturali, educativi, religiosi, mediatici in cui non si faccia appello alla coscienza. Educare le coscienze, sensibilizzare le coscienze, formare le coscienze sono gli appelli che vengono da tutte le parti e che, spesso, hanno come destinatari i giovani. In questo senso l’insegna-mento della religione cattolica ha un ruolo centrale e fondamentale.
Oggi, nel tempo del web, appare quanto mai fondamentale e necessaria una “ri-comprensione” e una riaffermazione del primato della coscienza, specie nel quadro della cultura cristiana , sia per evitare di ridurre la co-scienza ad una semplice dimensione psicologica della persona che con-diziona nel bene e nel male il suo agire, sia per evitare di trasformarla in un giudizio morale pratico, vale a dire in una applicazione della norma etica al caso particolare concreto.
Ma che cos’è la coscienza, come agisce e come reagisce. Il termine coscienza, che deriva dal latino “cum-scientia”, cioè con scienza, conoscenza, è una facoltà spirituale tipica dell’uomo ed è presente in tutti , anche se non sempre come coscienza vera e retta. In una società, nei rapporti umani non manca di sentire espressioni comuni del tipo: “avere un peso sulla coscienza”, “avere la coscienza a posto”, prendere coscienza di”, “agire secondo coscienza”, “mettersi una mano sulla coscienza” . Si tratta di espressioni che alludono ad un concetto di coscienza intensa come un “senso” o una “voce” interiore che rende la persona consapevole delle ragioni e delle conseguenze delle sue scelte. Se i sensi guidano l’uomo e gli danno la misura della sua collocazione nel mondo fisico, allo stesso modo la coscienza lo guida e gli dà la misura della sua collocazione e del suo agire nel mondo morale.
L’IRC deve aiutare gli studenti a riscoprire il valore della coscienza come il volto interiore dell’uomo, se è vero – come afferma Siracide 13,25, che “il cuore dell’uomo si riflette nel volto”. La Rivelazione biblica ci porta su piani che sicuramente possano dare alla coscienza umana un’ identità di bellezza: “Guardate al Signore e i vostri volti diventeranno raggianti”. Nella Bibbia pur non trovandosi un termine specifico per indicare la coscienza, esiste un concetto di coscienza legato al valore del “cuore” come sede dei pensieri, dei desideri, delle emozioni e del giudizio morale. La Bibbia insegna che Dio ha scritto la sua legge “nel cuore dell’uomo”(Ger 31,29-34; Ez 14,1-3 e 36,26); che Dio “scruta il cuore” e la mente, e loda e biasima gli atti che lui compie(Gb 27,6). La ri-comprensione della coscienza morale cristiana va allora presentata non a partire da una legge ma da un “cuore” capace di ascoltare i suggerimenti dello Spirito per convertirsi (Sl 50,12). Da un cuore nuovo nasce una coscienza nuova che sa discernere il suo operato in rapporto alla sequela di Cristo, il Maestro, e sa fare della sua vita un dono di bene.
Orizzonti biblici della coscienza morale
Una “ri-comprensione” della coscienza che voglia dirsi cristiana non può sicuramente trascurare quanto la Bibbia e i vangeli insegnano. Anche se i Vangeli non posseggono un termine specifico che indichi la coscienza, utilizzano tuttavia due sinonimi: “cuore” e “spirito”. San Paolo, poi, offre una visione sistematica del concetto di coscienza utilizzando il termine “syneidesis”, termine mutuato dalla filosofia stoica, ove stava ad indicare la coscienza del male, il senso del rimorso causato da un’ azione cattiva. Ma l’apostolo Paolo va oltre il dato filosofico.
Egli fa spesso ricorso alla coscienza per sottolineare l’importanza di un principio interiore come fondamento dell’agire umano, in opposizione alla norma solo esterna della Legge. Se per i farisei la coscienza si riduceva ad un’ ipocrita “purificazione dell’esterno del bicchiere”, mentre il loro essere era pieno di rapina ed intemperanza, Gesù, al contrario, nella sua predicazione insiste sul fatto che non è quello che entra nell’uomo a contaminarlo ma quello che esce dal profondo del suo essere (Cf Mt 15,11). Gesù , insomma, invita l’uomo a guardarsi dentro per discernere nel cuore il bene dal male, ecco perché diceva alle folle: “Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto fare?”(Lc 12,54-57).
Sulla linea del Nuovo Testamento si muove anche il Concilio Vaticano II, che al n. 16 della Gaudium et spes afferma: “Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa questo, evita quest’altro. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato . La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità. Tramite la coscienza si
fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo”.
Stando a questo insegnamento del Vaticano II, la coscienza deve essere spiegata, percepita e ricompresa come “luogo del dialogo”, “luogo di bellezza”, proprio perché è dentro questo luogo che ogni persona ritrova se stesso, rilegge la propria storia, la vita, gli errori, le fragilità, le gioie e i dolori, il proprio rapporto con gli altri e con Dio.
La coscienza fa percepire la bellezza del rimanere soli con se stessi, come davanti ad un altare dove l’interlocutore principale è Dio amore, misericordia, accoglienza, che invita ogni uomo ad ascoltarlo nella libertà, prima di porre in essere una azione. Ed ecco perché San Bonaventura poteva scrivere: “La coscienza è come l’araldo di Dio e il messaggero, e ciò che dice non lo comanda da se stessa, ma lo comanda come proveniente da Dio, alla maniera di un araldo quando proclama l’editto del re. E da ciò deriva il fatto che la coscienza ha la forza di obbligare”.
L’insegnamento della religione cattolica deve aiutare gli studenti a rileggere la coscienza – direbbe Platone nel suo dialogo Teeteto – in chiave di “dialogo interno dell’anima con se stessa” o,- direbbe S. Agostino- , come luogo di ricerca della dimensione veritativa: “Non uscire da te, ritorna in te stesso, nell’interno dell’uomo abita la verità”(De vera religione, 39). Occorre far comprendere che la coscienza va interpretata in termini di “ dialogica morale interiore”, e non esclusivamente conoscitiva e applicativa.