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L’INTERVISTA: Tornare alla normalità? Dialogo con Francesco Roat

Ritornare alla “normalità”: è desiderio comune, nella situazione di crisi attuale. La condizione di emergenza però rischia di diventare una normalità e il ritorno alla condizione “originaria” forse è qualcosa di impossibile. “Miti, miraggi e realtà del ritorno” (Moretti&Vitali) è il titolo del saggio appena pubblicato di Francesco Roat, saggista e narratore trentino, dove sostiene che un vero e proprio ritorno non è mai possibile.

D. Gli abbiamo domandato se tale affermazione non sia eccessiva:

R. Ho voluto mettere in discussione idee date per scontate, che invece non lo sono per nulla. Ritornare da qualche parte o da qualcuno sembra realizzabile facilmente. Ma Eraclito ci ricorda che: “nel medesimo fiume non è possibile entrare due volte”, ossia che tutto muta di continuo, noi compresi. E Pessoa in una poesia su Lisbona confessa: “Un’altra volta ti rivedo, / Ma, ahimè non mi rivedo!”, come a dire: non siamo mai gli stessi di ieri, di qualche anno fa. E allora c’è davvero la possibilità di un ritorno a quello che è stato? Così i nostri ritorni dovrebbero esser considerati parziali o non del tutto completi. Ad esempio il risveglio al mattino ci vede assai simili a chi eravamo la sera precedente ma non esattamente uguali; in quanto ogni giorno vede un certo ricambio cellulare, con cellule giovani che vanno a sostituire quelle vecchie. E non parliamo del nostro stato emozionale che può mutare in ogni momento e farci diversi; o di una disgrazia che non ci permette più di ritornare alla vita di prima.

D. Molti sono i miti di cui tratta il saggio. Cosa hanno di nuovo da dirci, oggi?

R. I miti ci parlano dei nostri desideri più profondi, spesso illusori. Orfeo vuole far tornare Euridice dal regno dei morti. Non ci riuscirà. Gli induisti credono che, dopo la morte, l’anima ritorni a incarnarsi in un nuovo corpo e il cristianesimo afferma che torneremo a vivere una nuova vita eterna. Il problema è sempre lo stesso: distinguere tra fantasia e concretezza, speranza e realtà. Senza per questo irridere alla fede. Anzi, se la vita è un mistero ‒ parola che deriva dal verbo greco myein, che indica chiuder la bocca e gli occhi, cioè riserbo e silenzio ‒, la morte e ciò che segue alla morte lo sono ancora di più.

D. Nel libro si parla di malinconia e di nostalgia come effetto di un mancato ritorno. Può spiegarci in che consisterebbe questo nesso?

R. Sin dal tempo di Ulisse la nostalgia, parola che deriva dall’unione dei termini greci nostos (ritorno) e algos (dolore), genera una tristezza, una malinconia che può farsi patologica e invalidante poiché nell’impossibilità di far ritorno ‒ in patria, a casa, o dal proprio partner ‒, taluni soggetti si spengono sino a divenire catatonici, sino a perdere ogni voglia di vivere. In questi casi le varie forme di psicoterapia possono aiutare chi soffre di nostalgia, perché il vero problema non è tanto quello di tornare ad una situazione precedente/ottimale, bensì quello di comprendere che la vita è fatta di metamorfosi e purtroppo anche di perdite irreparabili e lutti da elaborare e accettare.

D. In qual modo la riflessione filosofica può aiutarci a comprendere la realtà o i miraggi del ritorno?

R. È emblematico come molti giovani (e pure meno giovani) concepiscano l’esistenza quasi fosse un videogioco, dove l’eroe che viene ucciso ritorna in vita ogni volta che riprendiamo a giocare. Bisogna invece comprendere da parte di tutti che i nostri ritorni non sono affatto scontati; giusto per questo bisogna cogliere l’attimo fuggente e vivere il presente senza inutili piagnistei sul passato o fantasticherie sul futuro. Filosofia significa pensare, riflettere criticamente, mettere in discussione ciò che sembra assodato. Ottima medicina: specie al tempo delle fake news.

D. Tutti speriamo in un ritorno alla vita che conducevamo prima del corona-virus. Il suo saggio è stato scritto prima dell’epidemia: l’avesse scritto oggi cosa aggiungerebbe?

R. Forse inviterei a considerare un tale “ritorno” come l’occasione non tanto per tornare semplicemente alla vita di prima, ma per adeguarla alla nuova realtà che certo non sarà idilliaca, visti anche solo i problemi economici che dovremo affrontare. E comunque, ancora una volta, più che preoccuparsi dei ritorni meglio badare all’oggi, a come vivere qui e ora. In questi giorni di isolamento mi sto dedicando ad  un saggio su Meister Eckhart: uno dei più grandi mistici occidentali. Non a caso i suoi contemporanei non lo chiamarono col nome di battesimo, ma col titolo di Maestro, per l’eccellenza delle sue opere.

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