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Intervista a Vito Mancuso, il “teologo laico” che parla di fragilità della bellezza, natura, creato

Ecosofia: capacità di guardare alla natura con sapienza, per cogliere al suo interno le relazioni, delicate e sublimi, e allontanare i rischi di distruzione. Ne ha parlato Vito Mancuso, noto teologo laico, come lui stesso si è definito, al Trento Film Festival la scorsa primavera, in una serata dal titolo “La fragilità della bellezza: un patrimonio sublime e vulnerabile”.

A Vito Mancuso abbiamo chiesto innanzitutto di parlarci del sentimento del sublime: quello che proviamo nel vedere fenomeni naturali bellissimi, ma anche sconvolgenti come le conseguenze dei cambiamenti climatici.

R.“C’è da fare una duplice considerazione: la prima riguardante lo sconvolgimento della natura, insito nella natura stessa, che può sconvolgere. Dall’altra invece c’è la natura “in quanto sconvolta”, da noi esseri umani e dai cambiamenti climatici. Il sublime viene definito da Kant, non a caso. come “piacere negativo”, un sentimento che il mero contatto con la natura produce dentro di noi: contemporaneamente attrazione e timore. Basti pensare all’immensità del mare o all’asprezza delle montagne. Non provare questo sentimento che la natura, nella sua forza ed immensità, dovrebbe suscitare in noi, significa esporsi a dei rischi. Occorre dunque sperimentare il sublime: la sua etimologia ci dice quanto questo concetto sia frutto di una “contorsione” della mente. Sub-limis in latino significa “alto”, “elevato”, ma per coniare questo aggettivo è stato necessario usare il “sub”, che significa “sotto”. I linguisti discutono del “limes”, se significhi limite o soglia. Resta certo che per parlare di altezze si usa la preposizione sub che indica “il sotto”: una contraddizione per esprimere quel sentimento, contraddittorio, di colui che si avvicina alla natura”.

D. Nella Bibbia, libro della Genesi leggiamo: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela”. Quanta responsabilità ha la cultura giudaico cristiana, occidentale, di fronte ai disastri di oggi?

R.“Certamente ha pesanti responsabilità: storicamente la rivoluzione industriale e il modo, nefasto per l’ambiente, in cui si è condotta è frutto dell’Occidente. Così anche la scissione dell’atomo è figlia nostra. Oggi la gran parte dell’inquinamento ambientale non viene più da noi, ma da altre zone del pianeta. Però, certamente, questa visione antropocentrica va superata. Il cristianesimo, anche se ha responsabilità storiche, è sempre più consapevole che occorre invertire la rotta. Nella Bibbia inoltre ci sono diversi passi dove emerge la reverenza e il rispetto nei confronti del creato. C’è materiale per poter rifondare in senso ecologico la visione cristiana: esempio ne è la bellissima enciclica di Papa Francesco. La “Laudato si” è la magna carta dell’ecologia. Ci sono tutti gli strumenti teologici, filosofici e spirituali per ripulire la coscienza cristiana e riformulare una “ecosofia”. Occorre cioè una sapienzialità il cui fulcro sia un rapporto sano con la natura”.

D. Se in passato però il concetto di “natura” era qualcosa di stabile, fisso, oggi possiamo considerarlo più “fluido”. Scienza e tecnica ci hanno permesso di modificare la natura e superarne a volte i limiti. Quali sono i pro e i contro?

R.“Il concetto di natura ha sempre suscitato grandi discussioni: basti solo l’esempio degli stoici che consideravano la natura come governata da ragione e al loro opposto gli epicurei che la vedevano frutto del caso. Sempre sul concetto di natura si discuterà andando alla ricerca della risposta a questa domanda: qual’è la “natura della natura”? La logica oppure il caos?  Armonia o conflitto? Guerra o collaborazione? A mio avviso la natura è entrambe le cose: oggi sta mutando perché la facciamo mutare noi.  Si tratta di un problema di potere tecnologico. Un tempo la natura era una dato ambiguo su cui si discuteva, ma era ferma in se stessa, Signora, una Dea. Oggi se  da una parte ad ogni terremoto o evento climatico estremo ci rendiamo conto della nostra debolezza, dall’altra, per quel che attiene alla nostra natura, alla capacità che abbiamo di entrare dentro di noi e capirci e riprogrammarci,  lo scenario è completamente nuovo e diventa estremamente necessaria una sapienza etica all’altezza del potere tecnologico. Purtroppo a partire dalle nostre scuole ci si preoccupa di fornire nozioni , conoscenze, dati, ma sempre meno o per nulla ci si preoccupa di educare la mente all’utilizzo di conoscenze e dati. Noi siamo anche tecnici, ma ci siamo chiamati sapiens non a caso: dovremmo essere in grado di avere una visione spirituale, etica e sapienziale.  Se non crescerà una forte coscienza etica il rischio è enorme”. 

D. Quindi rispettare la natura non vuol dire tornare all’età della pietra, ma riempire di senso il nostro rapporto con lei?

R. “ Dovremmo capire l’essenza profonda della natura: l’armonia. La natura si presenta come mondo e non come caos, perché è abitata da una logica relazionale. Non esiste niente al mondo che non sia un sistema. L’aria che respiriamo è una sistema di gas, che a loro volta sono sistemi di particelle subatomiche, che acquistano la massa nella relazione, con il cosiddetto “campo di Higgs”. Certo: non si tratta di relazioni sempre armoniose. Ma qualcosa confligge perché esistono dei termini in relazione tra loro. C’è una tesi e un’antitesi, armonia da un parte, disgregazione dall’altra. Non sono però due forze pari: perchè altrimenti sul nostro piccolo pianeta blu non avremmo la vita e l’evoluzione. La sintesi, la vita, prevale, secondo la logica hegeliana, per essere poi ancora una volta messa in discussione. Occorre credere nella logica della vita, sottoposta certamente a tensione, ma dobbiamo sostenerla e fare gioco di squadra, per vivere bene noi e il pianeta”.

D. Quindi, guardando alla natura, come si può affrontare il tema della bellezza e della fragilità?

R.“Occorre un’esperienza estetica autentica, non l’estetismo di chi, guardando il bello, gonfia e rigonfia il proprio ego, usa la bellezza nella logica del consumismo. Chi fa esperienza estetica vera si rende conto innanzitutto della propria fragilità: la bellezza è sempre qualcosa di più grande di se. Fascino attrazione e paura lo sentiamo di fronte al mare, alla montagna alla bella musica. Siamo esposti a qualcosa di più grande di noi. E’ una suprema manifestazione della maestà dell’essere. Poi però perchè ci sia bellezza occorre una delicata organizzazione degli elementi: mettere a caso delle parole non significa fare poesia. La bellezza è delicata e richiede cura”.

D. Non è strano che lei finora non abbia mai citato Dio? E’ raro che un teologo non “usi” Dio per dar forza ai suoi ragionamenti.

R. “Da tempo mi presento come teologo laico. La parola Dio è consunta, pronuciarla significa per qualcuno aprire tesori, musiche armoniose e profumi. Altri quando la pronunciano spandono un tanfo orrendo, suoni cacofonici e tristi ricordi. Già Martin Buber chiedeva di fare una moratoria sul termine “Dio”. Quando parlavo di “maestà dell’essere” avrei potuto dire “Dio”: ma con questo avrei perso metà della possibile condivisione delle mie parole. Poi qualcuno di fronte alla maestà dell’essere può andare oltre, verso la trascendenza. L’importante è uscire dal buco nero interiore dell’egoismo”.

Ci sono però ministri dell’interno che brandiscono il Vangelo ed hanno tanto successo di popolo e condivisione. “In un caso si usa il Vangelo, in altri il mitra. A seconda delle occasioni”.

(Intervista pubblicata in forma breve sul quotidiano L’Adige domenica 28 aprile 2019) 

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