L’a nostra è diventata una società in cui si corre sempre di più e bisogna stare al passo coi tempi. Impossibile restare indietro. Ancor di più se si è nell’età in cui personalità e carattere iniziano a formarsi. Fase in cui internet, facilmente raggiungibile con telefonini, tablet e PC, diventa uno degli “amici” di cui “non poter fare a meno”. Attenzione però, i pericoli sono a portata di click per i nostri ragazzi. Ed allora come bisogna gestire le esigenze sempre più social dei giovani? Ne abbiamo parlato con il sociologo Marino D’Amore, docente all’Università Niccolò Cusano di Roma.
A quale età è consigliabile far avvicinare i ragazzi al mondo di internet? È difficile stabilire un’età per chi vive il mondo digitale come un ideale prolungamento di quello reale e un elemento centrale della propria esistenza. I ragazzi, dall’età infantile fino alle soglie di quella adulta, si caratterizzano per un approccio quasi innatista al web, basti pensare solo ai bambini che scelgono da soli un gioco, un’applicazione o un video da guardare su Youtube mentre i genitori stanno facendo altro o, come riescono a risolvere in pochi secondi, un problema al pc ritenuto troppo complesso da questi ultimi. Diventa difficile confinare a un dato anagrafico uno scenario così polivalente in cui gli aspetti comunicativi, relazionali e socializzatori vengono interpretati dai ragazzi in modo indipendente e autodidattico, con tutte le potenzialità ma anche i rischi che ne conseguono. Quali sono i rischi dietro la rete? Tutti quelli che derivano da una situazione in cui soggetti molto giovani ancora socialmente incompetenti perché in piena socializzazione primaria, quello che prevede l’acquisizione delle abilità, dei ruoli che poi verranno assunti e interpretati nella società vera e propria, si ritrovano a costruire dinamiche relazionali e comunicative all’interno della proiezione digitale di quest’ultima, ossia di un’altra società a tutti gli effetti, con le sue possibilità ma anche con i suoi pericoli, le sue criticità, senza avere, però, gli strumenti adeguati a decodificarle e a riconoscerle. Si pensi alle blackout challenge, al cyberbullismo, al ricorrente hate speech o alla pedo-pornografia solo per fare alcuni esempi. Tuttavia, appare ingeneroso e intellettualmente scorretto, pur tenendo in considerazione tutti questi elementi, demonizzare la Rete in quanto tale perché rappresenta, su scala globale, la declinazione digitale e aumentata del mondo reale in cui coesistono, evidentemente, il bene e il male. Come riconoscerli e cosa fare? La questione risiede nel gap comunicativo e nel deficit di dialogo tra generazioni, soprattutto nel rapporto genitori – figli, in cui i primi sono sprovvisti di una competenza tecnica digitale riguardo ai basilari strumenti di controllo mentre i secondi, abili e digitalmente autoctoni, sono esposti a tutte le potenziali insidie provenienti dal web e, aspetto più importante, qualora queste si presentino, non comunicano a nessuno le problematiche, più o meno gravi, che ne derivano. Cosa fare? incentivare l’educazione digitale. Essa oltre a rappresentare il nostro futuro e ad alfabetizzarci a nuovi linguaggi, è l’unico modo per riavvicinare le generazioni, come quelle degli immigrati e dei nativi digitali, che oggi non comunicano perché non condividono gli stessi codici. Occorre stimolare il dialogo tra di loro, catalizzarne il confronto in cui competenza sociale, dei genitori, e tecnica, dei figli, possano fondersi per affrontare insieme un nuovo mondo digitale che ormai caratterizza ogni aspetto della nostra quotidianità