L'educazione al rispetto di genere è il primo fattore per evitare che la situazione degeneri in fasi di crescita. Educare in classe appare fondamentale ma da solo non basta. Stefano Callipo, psicologo e psicoterapeuta, lo spiega.
Nell’ultimo periodo in Italia è nato un grande dibattito: come attuare una concreta educazione al rispetto della donna e alla sua vita? È il tempo di agire. La violenta uccisione di Giulia Cecchettin lo scorso novembre, per mano dell’ex fidanzato, ha fatto da monito affinché si possano gettare le basi per un futuro migliore, basato sul rispetto della vita altrui. Un obiettivo che richiederà impegno e che, a detta degli esperti, necessita l’avvio del suo cammino tra i banchi di scuola. Ne parliamo con lo psicologo e psicoterapeuta Stefano Callipo, presidente dell’Osservatorio Nazionale Violenza e Suicidio.
Cosa vuol dire avere rispetto della donna?
Il rispetto verso il genere femminile significa in primo luogo aver rispetto per sé stessi e comprendere il reale ruolo sociale, amicale e intrafamiliare della Donna. Il rispetto è costituito da piccoli comportamenti che dovrebbero far parte della propria quotidianità e della propria personalità. L’educazione al rispetto di genere ha anche un altro significato, inteso come fattore di prevenzione delle violenze sulle Donne.
Nell’educazione al rispetto perché la scuola ha un ruolo fondamentale?
Il rispetto si impara dall’infanzia, partendo dagli aspetti assiologici intrafamiliari, alla replica dei modelli comportamentali genitoriali fino al ruolo fondamentale della scuola, che non dovrebbe essere esclusivamente quello di istruire ma quello di educare. Educare anche alle emozioni. Non certo con un’ora scolastica. La scuola può tanto ma non può tutto. Uno sbaglio frequente oggi consiste nel delegare, da parte dei genitori, alla scuola compiti educativi della famiglia. Insegnare il rispetto per le Donne nasce in famiglia e prosegue a scuola. La scuola senza un allineamento della famiglia ha un potere educativo limitato. Dobbiamo anche far passare il messaggio che gli alunni sono una parte della soluzione, non il problema
Secondo lei cosa è mancato in questi anni?
Il grande sbaglio, realizzato diacronicamente, è dato dalla separazione tra genitori e scuola. Oggi un professore deve aver timore nel mettere una nota ad un alunno, si aspetta una reazione da parte dei genitori, talvolta aggressiva, in difesa del proprio figlio, il quale pensa che quella sia la modalità corretta e funzionale per gestire tali contesti. I genitori oggi sollevano i propri figli da ogni responsabilità, non permettendo loro di crescere e di sviluppare gli anticorpi emotivi, sociali e relazionali. Non è un caso che l’aggressività e la criminalità minorili siano scesi di età e siano in aumento. Un bambino che vede il proprio padre (o madre) aggredire fisicamente la propria insegnante, quale rispetto vuole che impari? Tali dinamiche possono essere normalizzate dal bambino fino a pensare che la forza fisica e l’aggressività sono gli strumenti con i quali si ottiene ciò che si vuole, una sorta di giustizia fai da te, che di giustizia non ha nulla
Quale messaggio vuole mandare alle nuove generazioni affinché non accadano più altri fatti di questo tipo?
Come Psicologo e come Presidente dell’Osservatorio Violenza e Suicidio ho sempre ritenuto che implementare leggi, rendendole sempre più repressive, da sole non bastano, bisogna puntare sulla prevenzione primaria e selettiva. Alle nuove generazioni dico di acquisire due capacità importanti e fondamentali. La prima è la capacita di chiedere aiuto. Quando un ragazzo manifesta una gelosia ed un possesso pervasivo, quando vi ritrovate a non poter essere voi stessi, quando vi state rendendo conto che il vostro ragazzo vi sta isolando, persino dai vostri genitori, per fare solo alcuni esempi, bisogna chiedere aiuto prima che sia troppo tardi. Farlo spesso non è facile.
La seconda capacità consiste nel saper riconoscere i campanelli di allarme di una vostra compagna che subisce violenza, anche psicologica. Alcune tragedie si sono potute evitare proprio grazie all’intervento tempestivo di amici e amiche della vittima nell’avvertire i propri genitori o il proprio insegnante. Inoltre è importante che i riferimenti valoriali siano cercati negli adulti di riferimento, non nei social e nei coetanei/star da milioni di follower. Mi permetta di concludere con un appello ai genitori. Parlate con i vostri figli, non comunicate solo con messaggi. Fate domande emotive, psicologiche tipo ‘come stai’ ,‘come ti senti ’ o ‘cosa hai provato rispetto a ciò che racconti’, anziché chiedere cosa hai mangiato. Non perdete tempo, i vostri figli fino a circa 12 anni vi ascoltano, potete seminare bene e infondere loro valori, capacità e competenze, permettendo loro di sviluppare un sano senso empatico ed una comunicazione funzionale e sufficientemente assertiva. Dopo quell’età rimane tutto più difficile. Insomma, riappropriatevi dell’importante e sano ruolo genitoriale, un meraviglioso ruolo.
Insegnare il rispetto per le donne nasce in famiglia e prosegue a scuola. La scuola, senza la famiglia, ha un potere educativo limitato. Deve passare il messaggio che gli alunni sono una parte della soluzione non il problema”