I temi concernenti la Costituzione, il diritto (nazionale e internazionale), la legalità e la solidarietà, costituiscono il primo dei tre nuclei fondamentali che determinano l’impianto programmatico della disciplina trasversale denominata educazione civica, che è stata inserita nel piano curricolare della scuola, di ogni ordine e grado, con la Legge n. 92 del 20 agosto 2019 (gli altri due nuclei sono: – sviluppo sostenibile, educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio; – Cittadinanza digitale). L’articolo tre della legge, al punto f, indica tra le tematiche da trattare, in modo strutturato ed organico: “l’educazione alla legalità e al contrasto delle mafie”. Pertanto in modo esplicito è stata evidenziata dal legislatore l’attenzione che la scuola deve offrire al tema legato alla lotta alla mafia, che molti ormai conoscono come “antimafia”. Ma prima di affrontare questo argomento sarà meglio avere chiarezza di cosa sia realmente la mafia, quella che Peppino Impastato (ucciso a Cinisi, in provincia di Palermo, il 9 maggio 1978) definì “una montagna di merda”, per capire meglio chi e cosa combatte l’antimafia degli uomini valorosi, per la quale hanno perso la vita più di mille persone (uomini, donne e bambini). Mafia è, oggi giorno (perché prima degli anni ’60 era una parola tabù, che non doveva essere pronunciata), un termine usato, abusato e strausato, che tutto dice e, contemporaneamente, tutto nasconde. La parola “mafia” fu usata per la prima volta, pubblicamente ed in modo ufficiale, nel 1863 con la rappresentazione teatrale del dramma popolare di Giuseppe Rizzo e di Gaetano Mosca, “I mafiosi di la Vicaria”, anche se di fatto la mafia, nella sua entità e nel suo connubio con la politica e con gli affari criminosi, esisteva già da molto più lungo tempo. Gli storici stimano che la mafia esista da più di cent’ottanta anni, e proprio questa sua vetustà ci dimostra che la mafia non può essere considerata, come invece molti la considerano, un’organizzazione criminale, ma deve essere vista come qualcosa di molto più complesso ed articolato rispetto ad una banda di assassini sanguinari. Comunque, tornando all’uso e al significato della parola “mafia”, a sancirne la sua utilizzazione, dopo la fortuna che ebbe con il lancio da parte de “I mafiosi di la Vicaria”, fu, nel 1868, il lessicografo siciliano Antonio Traina che, nel suo Nuovo vocabolario siciliano – italiano, così definiva la parola “mafia”: “Neologismo per indicare azione, parole o altro di chi vuol fare il bravo: sbracerìa, braveria// Sicurtà d’animo, apparente ardire: baldanza. // Atto o detto di persone che vuol mostrare più di quel che è: pottata. // Insolenza, arroganza: tracotanza. // Alterigia, fasto: spocchia. // Nome collettivo di tutti i “mafiusi”. (Smàferi si chiaman in Toscana gli sgherri; e maffia dicon della miseria, e miseria vera è il credersi grand’uomo per la sola forza bruta; ciò che mostra invece brutalità, cioè l’esser grande bestia!)”. In pratica, spesso si parla di mafia, intendendola alla Totò Riina (anche se questi negava di conoscerla), cioè di un’organizzazione di assassini criminali, oppure si usa la parola al plurale, mafie, mescolando realtà tanto diverse culturalmente quanto pericolose, in modo da mettere nel calderone tutto e niente. Tutto ciò ha creato e crea molta confusione tra l’opinione pubblica, allontanandola, così dalla realtà e dalla verità, con il contributo non sempre positivo dei media. Ciò è talmente vero che, parlando con persone comuni, fuori dalla Sicilia, mi sono reso conto come spesso la mafia viene percepita in modo semplicistico, ma soprattutto, viene considerata come qualcosa di solo siciliano, conseguentemente estranea e senza alcuna influenza sulla realtà locale fuori dall’isola. In pratica la mafia viene considerata come una realtà siciliana che nulla ha a che vedere con il resto della penisola. Ma sappiamo bene che così non è. Giovanni Falcone era contrario a questa confusione e a questa semplificazione e così affermava, nel 1990, in una intervista rilasciata alla rivista “Segno”: “Non mi va più bene che si continui a par lare di mafia in termini descrittivi e onnicomprensivi perché si affastellano fenomeni che sono sì di criminalità organizzata, ma che con la mafia hanno poco o nulla da spartire”. Continuare ad alimentare questa confusione è oltremodo contro i valori dell’antimafia e della legalità, in quanto oltre a fuorviare la gente, confondendola, si spacciano verità che verità non sono, permettendo così alla “mafia” di progredire e di proseguire nei suoi loschi e sporchi affari. Ma allora cosa dobbiamo intendere per mafia. Alla luce delle tante inchieste fatte sia ai primi del ‘900, che ai nostri tempi, risulta chiaro che la mafia è nata in Sicilia non certo perché i siciliani siano mafiosi, ma per congetture geo-storiche ed economiche e si può, quindi, affermare che in questi circa duecento anni di storia della mafia, una connessione importante con essa l’ha avuta certa politica e certa massoneria che ne hanno alimentato e sostenuto l’esistenza e la longeva vitalità. Infatti, la mafia deve intendersi, non solo come una realtà localistica, ma anche nazionale ed internazionale. Quindi, alla luce di queste considerazioni, bisogna pensare alla mafia non solo come un’organizzazione che punta ai guadagni, quanto più al potere, in quanto per esistere non può mantenersi solo con relazioni locali e delinquenziali, ma deve alimentarsi con il supporto dei cosiddetti poteri forti (politica, massoneria e finanze). La mafia, quindi, non deve essere intesa come una semplice organizzazione criminale, ma come un sistema di potere, intendendo per sistema, una rete di connivenze e relazioni, a vari livelli, penetrante in tutti i settori della società e della politica. Mafia e politica, quindi, non solo vanno a braccetto ma, nel sistema nazionale, sono confusamente e fortemente unite.
top of page
bottom of page